Nu Sarracino a Berlino

Impressioni di novembre, primo mese a Berlino

Brandeburger TorCop

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Lo scrivo per poterlo ricordare. Un giorno. Pensare a quanti stimoli possano stordirti in una città come Berlino. Ad ogni passo c’è un qualcosa che cattura il tuo occhio o ammalia il tuo udito. Un locale al contrario, le agendine con i lego, gli anelli, spille e gioielli con argento e pezzi di tastiere o elettroniche per computer. Metafales (un mio conio per i murales pregni di metafore e simbolismi), guerre di biciclette e feste ad ogni ora. Gente che lavora in multinazionali da fatturati spropositati, artisti di strada come professionisti, ogni tipo di animale per strada, in casa, a terra. A volte soprattutto con l’anima.

Dicono che Berlino sia la città più povera della Germania, “una città in cui c’è il più alto tasso di disoccupazione”: sento ancora rimbombare queste parole nelle mie orecchie qualche ora prima di partire. La povertà materiale e consumistica è l’ultima miseria: qui si impara a riciclare tutto. Il rifiuto è un materiale ed ecco la vera anima creativa, artistica e innovativa. È questa Berlino: quella di Kreuzberg, di Friedrichshain, di Mauer Park la domenica. È quella in cui non importa come tu stia agghindato, che cosa abbia deciso di mettere sulla tua testa o ai tuoi piedi. È quella in cui i tuoi discorsi hanno ancora un valore e vengono pesati, discussi, ragionati. È quella in cui un italiano, un tedesco, un giapponese, un thailandese, uno spagnolo, un americano, un cinese ed un brasiliano costruiscono un intento di risate nel cuore di un ristorante vietnamita.

Non si butta nulla: le bottiglie di plastica hanno un valore, le bottiglie di vetro ugualmente. Nei supermercati apposite macchine valutano il tuo rifiuto: venticinque centesimi la bottiglia di plastica, otto quella di vetro. E ci rifai la spesa. E’ un tramonto al Reichstag, una passeggiata al Tiegarten, un incontro assonnato nel cuore della notte per un currywurst, uno schwarma, una crepes.

L’impatto iniziale è stato duro: Berlino non è certo la mia Roma o Napoli, o la amata Spagna di cui conosco lingua, sapori e tradizioni. Berlino non ha il bel mare del sud.

E poi… è ottobre. Si avvicina il duro e gelido tempo invernale. Il muro non c’è più ma purtroppo, soprattutto nella mia prima settimana, il mio vero muro è stato il non riuscire a comprendere la lingua, i significati, i modi di dire, insomma il vasto involucro della comunicazione. Oggi 5 novembre, è passato quasi un mese. Un mese in cui ho vissuto il mio girovagare in cerca dell’anima vera e pulsante della città, del motivo che mi ha spinto qui e di quanto possa crescere come persona vivendo per un poco nella vecchia dama sovietica. E poi c’è la famosa burocrazia tedesca: una burocrazia di cui ancora devo testarne la forza, l’intransigenza e la schematicità. Ma per ora mi affido al buon senso di un vecchio italiano, usando l’aggettivo per indicare il tempo di permanenza in questa città, e alla sua auto definizione di “esule in un paradiso burocratico”.

Di sicuro ho conosciuto però la tipica comunità italiana all’estero che si compone di più varianti e individui tipizzati che a loro volta formano differenti punti di vista e metodologie di approccio alle cose. In primis ci sono gli snob: gruppi di italiani che in patria non avrebbero nemmeno avuto il coraggio di parlare ma che qui hanno trovato la loro dimensione imparando il tedesco ed arrogandosi così il diritto di “detestare” quasi quanti non lo fanno o ci stanno provando. Ma soprattutto vedono sempre di cattivo occhio chiunque metta piede nella “loro” città. Poi ci sono, al contrario gli ultimi arrivati, chi è qui da uno, due, tre anni o pochi mesi e con il tedesco proprio non va d’accordo. Né tantomeno provano a studiarlo o ad iscriversi a qualche corso. Cercano di comunicare, a volte con un inglese improvvisato, e superficialmente si cullano nella città, nel loro status alternativo di “artisti” o di manager a cui basta “l’inglese per lavorare e sopravvivere”. Pollice verso anche per costoro. Infine c’è il giusto mezzo, solitamente costituito da universitari o giovani in cerca di lavoro che cercano di integrarsi al meglio nella città, nella mentalità e nell’identità del luogo. Rimanendo a volte legati alla propria terra con la videochiamata quotidiana al loro cuore.

Continuo a sperimentare la vita notturna tra locali di ogni genere nella capitale della musica elettronica, una vecchia signora dal fascino decadente che però sta vedendo valorizzate tutte le sue proprietà. E se così, negli anni passati, gli studenti squattrinati hanno dovuto lasciare Prenzlauer Berg per Friedrichshain, adesso anche quest’ultima sta vedendo salire vertiginosamente gli affitti delle case e dunque già si pensa alla prossima zona da far esplodere oltre alla sempreviva Kreuzberg. Imprenditori da ogni parte del mondo stanno investendo in questa Berlino Est rifiorita: in tempi record si elevano strutture, impreziosiscono palazzi, allestiscono parchi. Una delle capitati più verdi d’Europa offre le sue case ancora a prezzi accettabili: il fermento culturale che si respira per le strade è quasi tangibile. Gusto sfrenato per il vintage, per il retrò, per il second hand. Berlino ha mille anime: ed è per questo che è in grado di attrarre qualsiasi classe sociale, di qualsiasi genere e qualsiasi età. Non divide ma unisce dividendo.

Ed allora eccomi ascoltare un concerto di Dark Jazz al FestSaal, ballare sulle note elettroniche di eccentrici dj al Gretchen o godere della situazione all’Honolulu dell’Hotel Michelberg o al Madame Claude o Marie Antoniette. Trovarsi a mangiare ora in Sudan, ora in Giappone, ora in Messico o Francia, ora in Danimarca, Bulgaria, Libano… locali fatti al contrario, sedie diverse una dall’altra, creatività e improvvisazione pure nell’accostare oggetti completamenti diversi che così acquistano utilità. Una città che non dorme mai con le sue mostre, i suoi eventi, le sue proposte rivolte al mondo intero.

Potrei essere accusato di populismo se cominciassi ad osannare la città e tutti i suoi abitanti o a descrivere di come magnifica una città che tale non è. Al contrario, è sporca, decadente, triste a volte e malinconica. Ma è dannatamente affascinante, in continuo fermento e viva anche nelle viscere più profonde. Giù fino all’inferno. È semplicemente una città da vivere. E la si ama solo facendolo. La si ama iniziando a capire che Berlino è una città forte in ogni cosa che fa: esagera, stupisce e diverte. Fa pensare, getta nella malinconia e ti risolleva.  Io ho cominciato ad amarla: amo passeggiare lungo i resti del muro a Bernauer Strasse. Mi sorride il cuore quando il sole illumina il Tiegarten. Mi rilassa ascoltare le chitarre, batterie, trombe, le voci, le urla, i motivi sussurrati ai passanti dai tanti musicisti alle uscite della metropolitana, nelle piazze, sotto i ponti. Quell’afrore che mi colpisce, forte, diretto, vitale, sensuale, sorprendente in alcuni luoghi. Sotto i ponti… anzi il ponte.

Il luogo più bello di Berlino? Di notte, Oberbaumbrucke… è il luogo perfetto in cui fermarsi un attimo a pensare. Meandri, intrecci complicati, unioni d spiriti differenti: Berlino è un labirinto in cui ognuno può trovare la propria strada. Un dedalo penetrabile e sondabile in cui ci si può smarrire e ritrovare, migliaia di volte, e magari rinascere.

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Questa voce è stata pubblicata il novembre 5, 2012 alle 3:35 am. È archiviata in Cambiamento, Casa, Convivenza, Interculturalità, Storie con tag , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Segui tutti i commenti qui con il feed RSS di questo articolo.

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